LA TRASMISSIONE EREDITARIA DEI VALORI NOBILIARI
Che l’essere umano tenda ad essere spesso vanitoso oltre ogni limite di ragionevolezza è un fatto accertato. Succede tra le migliori famiglie e tra tutti i popoli. Basta che un tedesco abbia un Von davanti al suo nome, o che un anglosassone sia preceduto da un Mac, perché derivi loro una certa aria di superiorità nobiliare. Come se davvero esistesse un fenomeno di trasmissione automatica di inesistenti valori nobiliari del sangue. L’unico colore valido del sangue, per tutti indistintamente, è il rosso. E, se davvero dovessimo oggi attribuire a degli esseri umani una qualche patente di nobiltà, lo faremmo non in base a un mai esistito sangue blu, e nemmeno sulla base di un lignaggio di famiglia, ma piuttosto in rapporto alla nobiltà d’animo, di pensiero e di azione, di queste persone. Ma, a principi, conti e baroni, fanno spesso da ottimi sostituti i geni e i miti del passato, che ogni gruppo sociale prestigioso tende a vantare e ad esaltare.
IL PICCOLO NAPOLEONE DEI FRANCESI E IL GRANDE GARIBALDI DEGLI ITALIANI
Ed è così che i francesi tendono ad avere la puzzetta al naso perché Napoleone Bonaparte seppe per diversi decenni tenere in scacco mezzo mondo con le sue strategie militari. Un vero peccato per i francesi medesimi che il suo cognome non suoni Bonne Partie ma Bonaparte, che è al cento per cento nome italiano. E peccato pure che la stessa Corsica, appartenga geograficamente, come isola, all’Italia, pur essendo stata ceduta alla Francia in un certo momento della storia moderna. Nessuno mette in dubbio la grandezza di Napoleone. Il fatto stesso che gli inglesi lo confinassero nella remotissima isola di Santa Elena, fa capire quanto lo temessero persino da sconfitto e da caduto in disgrazia.
Fu uomo non solo di grandi disegni bellici, ma pure di grandi principi, amato, rispettato e obbedito come un dio dalle sue truppe. Ma, tutto sommato, lo lasciamo volentieri ai francesi. Al limite, se dovessimo provare invidia per qualche grande francese che l’Italia non ha, penseremmo piuttosto a Cartesio, a Jean-Jacques Rousseau e a Francois-Marie Voltaire, non ce ne voglia il pur valoroso Napoleone. Non per niente al nostro poeta Ugo Foscolo egli stava sullo stomaco per le sue leggi sull’abolizione delle tombe individuali e sulla sua pretesa abolizione del culto dei morti. Preferiamo tenerci il nostro più umano Giuseppe Garibaldi, che non provocò epiche stragi di soldati e di eserciti, che vinse le sue battaglie in modo più modesto e convincente, anche se non meno coraggioso e temerario, e che viene ricordato soprattutto per le sue grandi doti di umanità, per la generosità con cui trattava i suoi soldati, le genti che incontrava, e per le straordinarie attenzioni che prestava agli animali in generale. Era capace di accarezzare e di parlare a lungo ai suoi muli e ai suoi cavalli e, quando uno di essi veniva ferito, gli venivano prestate le stesse amorevoli attenzioni e cure che si davano ai soldati.
PER GARIBALDI, ANIMALI E BAMBINI ERANO ESATTAMENTE LA STESSA COSA
Per Garibaldi, gli animali erano esseri puri, dotati della stessa innocenza dei nostri bambini, e dunque meritavano una speciale considerazione da parte dell’uomo. Chiunque maltrattasse un animale non era degno di appartenere all’umanità, e si beccava l’etichetta di persona riprovevole e meschina. E Garibaldi stava molto attento affinché le sue truppe non trasgredissero mai tale modo di pensare. Egli dava il buon esempio ed era un grande educatore, prima ancora che un ardimentoso comandante. Lo sbarco dei Mille, la liberazione storica della penisola italica dalle varie milizie e occupazioni straniere, fece di Garibaldi un mito. Il condottiero temerario e audace, buono e vincente, che minimizza le perdite e i disastri nelle battaglie, e che interviene a proposito e nel momento giusto per liberare delle popolazioni soggiogate dal nemico.
Così, come tutti i francesi tendono a sentirsi un po’ dei napoleoni, togliendo però dalla memoria il finale tragico di Waterloo, così gli italiani tendono spesso a sentirsi dei garibaldini, nello spirito e nell’anima. Peccato però che questi ultimi si ricordino solo del Garibaldi guerriero e liberatore, e che abbiano invece dimenticato i suoi valori di alta umanità. I suoi moniti a difesa dei deboli, degli oppressi, degli innocenti, degli animali. Nessuno storico si è mai preso la briga di focalizzare le sue attenzioni sul vegetarianismo e l’animalismo di Garibaldi, quasi che un condottiero abituato alle battaglie, alle ferite e al sangue, dovesse per forza essere privo di cuore e di riguardi per i deboli e gli indifesi. Non c’è un solo libro di storia che parli di questo importantissimo aspetto umano del Capo dei Mille.
Ai tanti italiani amanti delle gesta garibaldine non viene affatto in mente che se il loro eroe li scoprisse oggi a ingozzarsi di carne di bue, di maiale e di pollo, o peggio ancora di asino o di cavallo, ne sarebbe disgustato al punto tale di privarli di quella cittadinanza italiana e di quel tricolore per cui egli ha tanto combattuto. Italiani vanitosi e privi di coraggio. Italiani effeminati ed efebi. Italiani che invece di fare quel piccolo eroismo quotidiano che consiste nell’essere semplicemente se stessi, nell’attuare la difesa del più innocente e del più debole, preferiscono associarsi e mettersi in combutta con gli accoppa-animali di ogni risma e di ogni specie. E magari hanno la faccia tosta di pretendersi garibaldini. Se ne guardino bene dal fare uso improprio e indegno del mio nome, rivendicherà la sua anima tormentata e offesa. L’Eroe dei due Mondi non esiterebbe a chiamare i suoi connazionali di oggi col loro nome appropriato di vili e codardi, imbelli e pusillanime, privi di morale e di buoni principi. Nessuno che tratti male un bambino innocente e indifeso, nessuno che tradisca, offenda, manchi di rispetto a un animale bonario e amico, abbia l’impudenza di chiamarsi garibaldino, e di stare in sintonia con i fondatori della nostra bella e romantica Italia del Risorgimento.
IL GENIO ITALIANO DI LEONARDO DA VINCI
Garibaldi, per quanto si sia impegnato con successo anche in altri continenti, rimane conosciuto ed amato soprattutto nel nostro paese. Gli italiani che stanno all’estero, e quelli che si muovono spesso sul piano internazionale, preferiscono comunque specchiarsi, altrettanto vanitosamente e altrettanto incoerentemente, con un predecessore ancor più nobile e pregiato, con quel Leonardo Da Vinci autore di quadri unici come La Gioconda, autore di ricerche e disegni anticipatori di tutte le scienze, le tecniche e le invenzioni più moderne. Colui che ideò quasi profeticamente sottomarini ed elicotteri, quando non esistevano nemmeno i metalli, i materiali, i motori, per realizzare tali meraviglie della tecnologia umana. Colui che disegnò il corpo umano e parlò della salute in termini molto più avanzati di quanto non sappiano fare i medici e i terapisti di oggi.
Leonardo vale molto di più di qualsiasi re o imperatore, di qualsiasi intera dinastia di regnanti. Le sue opere e il suo segno lo hanno elevato al gradino più alto dell’intelligenza umana. Tanto che il mondo intero ce lo vuole sequestrare. A quei livelli, uno non appartiene più a una comunità locale e ad una singola nazione, ma appartiene davvero all’umanità nel suo complesso. Non a caso, i best-seller sul nostro Leonardo arrivano persino da scrittori d’oltre atlantico, e ci viene in testa, ad esempio, Il Codice Da Vinci. Italiani e non, tutti eredi del mitico Leonardo, tutti col diritto di dire che alle nostre spalle c’è Lui. Un puntello storico che garantisce a tutti gli uomini indistintamente una quota di sicurezza, di grandezza, di fantasia, di arte, di ingegnosità. Un qualcosa che riempie la coscienza di orgoglio e di senso di appartenenza al genere umano.
Ma nessuno che si chieda, in Italia e fuori di essa, se il proprio valore individuale e personale sia commisurabile e rapportabile a una semplice unghia dell’autore della Gioconda. E nessuno, soprattutto, che capisca e intenda i veri segreti che hanno portato e fatto lievitare l’uomo Leonardo ai livelli eccelsi che tutti paiono riconoscere. Più che codici segreti inventati per spiccato senso del glamour e per ragioni di interresse commerciale, i reali segreti della grandezza di Leonardo stanno tutti nella struttura morale dell’uomo nato a Vinci, nella sua sensibilità, nella sua curiosità, nella sua illimitata voglia di conoscere, a fondo e non in modo superficiale e approssimativo, le cose del mondo. Nel suo stare vicino e fedele alla natura di figlio di un Dio da rispettare, nel suo sapersi immedesimare con quel Dio rivelatore, nel suo amore per il creato, nel suo voler insegnare, registrare e trasmettere le cose che percepiva e sapeva.
Tutti pronti ad adorare la Gioconda. Ma nessuno capace di intuire che la bellezza di Monna Lisa non arriva a caso, ma è frutto, come tutte le sue opere, della moralità e del cuore grande e sensibile di Leonardo. Giorno verrà, verrà giorno in cui l’uccisione di un singolo animale sarà giudicata come crimine odioso e insopportabile. Questa frase che Leonardo pronunciava ad ogni buona occasione, e che pure scriveva nei suoi appunti, pare non interessi troppo ai discendenti di Leonardo, imbastarditi e confusi dalla volgarità e dalla mediocrità del loro tempo. Essi sono attratti soltanto dalla esteriorità e dalla perfezione percettiva e sensoriale della sua opera, non di quello che c’è sotto. Giorno verrà, diceva Leonardo. In realtà, quel giorno fatidico, non solo è arrivato, ma è sempre esistito. Non è un discorso dipendente dalla moda o dai tempi. Ammazzare e uccidere sono sempre stati un crimine. Sin dall’origine dei tempi. All’ombra delle Piramidi, all’ombra del Partenone, non si uccidevano gli animali, e nemmeno gli uomini. Le battaglie epiche di certo esistevano, e l’uomo guerriero era costretto a dare il meglio di sé, a misurarsi con l’elmo e la spada, a compiere atti eroici in favore della sua patria. Ma non si azzardava a colpire ed offendere l’indifeso e l’innocente.
DIO NON AMA CHI UCCIDE, È PAROLA DI GESÙ CHE RIECHEGGIA DA 2000 ANNI
Come puoi pretendere giustizia dalla vita quando tu, per crudele ghiottoneria e per vile avidità, sacrifichi creature innocenti legate fraternamente a te da fraterna alleanza e profonda simpatia? È parola di Pitagora che risuona nei cuori e nelle menti umane da 2500 anni. Leonardo Da Vinci era fine conoscitore dei classici, nonché ammiratore di Pitagora. Sapeva dunque benissimo che quella era una verità eterna. Ma volle ricordare al popolino mediocre che Giorno verrà. L’umanità di oggi non può dunque che sentirsi retrograda e infima rispetto a questo artista del Rinascimento Italiano. Non può che sentirsi fuori luogo e fuori del tempo, spiazzata scientificamente e moralmente nelle sue attitudini nutrizionali, comportamentali, filosofiche, etiche, estetiche. Questa bella gente, questa società affluente, che ama circondarsi di tanto sapere e di tanta cultura posticcia e nominale, non si accorge di quanto odiosa e dispregiata essa appaia agli occhi del medesimo autore che a parole e in superficie la sta entusiasmando. Prendere ed estrapolare da un autore come Leonardo le parti più appariscenti, trascurando e prescindendo da tutto quello che sta a monte, è un autentico tradimento nei riguardi dell’artista, una offesa imperdonabile alla sua poetica e alla sua arte.
Se uno ama davvero Leonardo, lo ama da cima a fondo, nella sua centralità spirituale, nella sua interiorità. Ne condivide i principi, gli ideali, lo spirito. Non si limita al segno e al colore. Il quadro della Gioconda non è quotabile alla borsa delle opere d’arte. Non avrebbe nemmeno senso dire che vale mille o diecimila miliardi. Un’opera unica al mondo non ha valore. Ma quella frase Giorno verrà, non solo non vale un centesimo, ma pare non esista nemmeno. Nessuno che ne parli. Chi va al museo ad ammirare la Monna Lisa con attenzione devota e religiosa, e poi passa indegnamente e disinvoltamente alle porcherie di un menù ideato e redatto da uno dei tanti briganti carnivoristi del nostro tempo, farebbe meglio a riflettere sulle proprie scelte. Se ci tiene davvero al pezzo di cadavere sul piatto, se ci tiene davvero a coinvolgersi in quell’odioso crimine, si astenga almeno dall’avvicinarsi a Leonardo. Farà un grosso favore alla sua anima.
Valdo Vaccaro
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