LETTERA
Caro Valdo, era qualche tempo che non frequentavo più il tuo bel blog e le risorse che vi trovo sono ogni volta più interessanti, attuali e circostanziate. Non il solito prodotto da vendere che si trova sul web.
Non so se tutta la gente che ti legge si sia resa conto di questo. Cioè che il tuo non è un “prodotto da web”, ma una risorsa attenta e specifica, intelligente e generosa. Non solo preziosa, ma offerta con uno spirito che non cessa di stupirmi e farmi sentire grata, anche per le tante disfunzioni sconfitte da me (e da tanti) grazie alla tua forza di farci ragionare sulla necessità di mantenerci sani e forti con un regime di vita equilibrato e naturale.
I tuoi suggerimenti, elaborati in un decennio che ti seguo, mi hanno fatto del bene e non sono costati nulla. Sopratutto per la consapevolezza che stimolano e che fa capire tante cose, ad esempio che solo la mia imperizia e scarsa volontà mi fa incorrere in inciampi, cadute e compensazioni sbagliate, al vivere stressante della nostra era, alla frammentarietà dell’informazione, spesso disonesta e illusoria, a causa della quale il cibo diviene una forma di sostituzione dell’amore, della serenità, della pace.
Per fortuna, leggendoti, mi rimetto in carreggiata, i tuoi libri nella biblioteca di casa sono una presenza amica, ma mi chiedo se sia mai capitato anche a te di perdere di vista la strada o di sentirti insicuro.
Mi premurerò di raccontarti le ultime vicissitudini appena mi riuscirà di parlarne, visto che assisto un familiare molto malato, per il quale l’unica strada, da dieci anni, è stata quella della medicina ufficiale. Prima con il cancro e poi con la leucemia.
Apparentemente sta bene, ma sono i farmaci a supplire all’apparente benessere, in un calvario che non ti permette di vivere davvero, ma di pensare sempre e solo alla malattia da curare, assumendo tantissime medicine.
In realtà stai morendo un po’ per volta, come avvisano i medici più o meno gentilmente, quando gli effetti collaterali delle medicine si assommano e i farmaci tampone non hanno più effetto e magari sei pure vecchio. E questo quando sei stato fortunato e abbastanza in salute da resistere a cure tanto invasive.
Perché quello che ho scoperto, in tutto questo marasma, è che la bestia che ti dicono di combattere, in realtà, fa parte di te, indipendentemente dal resto, che puoi essere sanissimo quando essa appare, almeno secondo i parametri della medicina ufficiale. Più sei sano e più duri saranno nel sottoporti alle cure che ti saranno proposte. Così, a volte, mi chiedo se non ci siano mali che non andrebbero eradicati, ma soltanto capiti.
Ma non sono qui per discutere di questo. Piuttosto voglio porti una domanda diversa. E cioè quale consiglio daresti a chi sta assistendo una persona ai suoi ultimi giorni, come affrontare questo momento con una persona le cui idee, diverse dalle tue, hai rispettato, ma che ora vedi andarsene poco per volta.
Perché mi rendo conto che è stato facile pensarci quando non lo vivevo, quando capitava ad altri. Se si tratta di un familiare vien voglia di smettere di mangiare e di annullarci anche noi, o altre volte viene voglia di mangiare schifezze per soffocare il dolore. Altre volte ancora si pensa di dover mantenere il rispetto di noi stessi, della nostra etica, anche se ci scopriamo esseri così fragili.
Insomma, quando ci si trova al cospetto della morte siamo tutti uguali davvero? Sia chi abbia vissuto con un ideale vegano e chi con un ideale carnivoro? Ci si può rendere conto che si può affrontare tutto questo con onestà?
D’altronde i tuoi consigli salutistici incitano anche a prendersi cura del proprio spirito in modo adeguato. E come farlo in simili circostanze, quando ti risolvi a pensare che forse della sofferenza non ci si potrà mai liberare?
Scusa lo sfogo, forse inopportuno, ma sincero. Confido in qualche parola che mi rassereni e come sempre ti sono grata di questo grande lavoro che metti a disposizione di tutti, proprio come uno degli ultimi, veri filantropi. Con affetto eterno, Jo
RISPOSTA
QUALCHE ECCESSO DI ALTI E BASSI
Ciao Jo. Ci vuole tempra morale non comune per ammettere senza mezzi termini i propri errori di percorso, e a riconoscere che solo la tua imperizia e la tua scarsa volontà ti hanno impedito di mettere a frutto pienamente la tua decennale adesione culturale al mio blog.
Alla fine c’è stato qualche alto e basso di troppo che poteva essere evitato. Tuttavia trovi sempre il modo per redimerti e riscattarti, per riprendere in mano il filo della matassa.
Mi chiedi se mi sia mai capitato di inciampare in una crisi o in un periodo di sfiducia nei valori in cui credo. Onestamente no. Qualche errore e qualche mancanza ci possono stare per tutti. Il rammarico per qualcosa che poteva essere fatto o non fatto, o che poteva essere fatto diversamente e al meglio, ce lo abbiamo un po’ tutti. La perfezione e il percorso netto, senza sviste e smagliature, appartengono al regno dell’utopia più che al mondo degli umani.
I BUONI PRINCIPI VANNO MANTENUTI
L’importante è renderci conto delle nostre manchevolezze e fare in modo che non si ripetano. Come insegna il Buddha, il perdono non esiste perché tutti noi cambiamo ed evolviamo in continuazione, sia l’autore del misfatto che la persona offesa, per cui la ferita che causiamo al prossimo si ritorce su noi stessi e la cicatrice rimane per sempre.
Un pizzico di tolleranza e di indulgenza vanno comunque messi in conto. A volte ci prendiamo troppo sul serio, mentre faremmo meglio a saper ridere di noi stessi, assolvendo comunque i peccati veniali. Sono pervenuto alla convinzione che gli strappi alla regola, ai principi e alle leggi naturali comportano insidie, danni e caduta della propria autostima.
UNA FORMULA VINCENTE E SODDISFACENTE NON SI CAMBIA TANTO PER CAMBIARE
Se ti riferisci in particolare alla dieta e alle scelte salutistiche che più contano, la mia formula rimane praticamente la stessa da 70 anni a questa parte. Vegan-crudismo tendenziale-sostenibile-personalizzato come ideologia alimentare, e scelte comportamentali strettamente armonizzate con Madre Natura, dal momento che mi ci trovo magnificamente in questo schema. Le uniche leggere variazioni sono dei semplici adattamenti al luogo, al clima e alle circostanze.
TAVOLATA DI CARNIVORI ESTERREFATTI DAVANTI A UN PRANZO A BASE DI FRAGOLE
Mi è successo di andare a pranzo in un agriturismo emiliano spiccatamente carnivoro, con un gruppo di espositori alla fiera di Bologna, tutti felici di quell’orribile menu, con primo, secondo, terzo piatto a base di carne di suino, di pollo e di bue. Come dire tutti “buone forchette” affamate di proteine animali.
Ho chiamato in disparte il cuoco e gli ho chiesto se nella dispensa ci fossero dei frutti. “Niente frutta. Anzi sì, ho un bel cestone di fragole fresche”. Bene quelle le riservi tutte a me! “Tutte quante?” Sì, tutte.
Nemmeno farlo apposta stavo a capotavola in netta evidenza, con un gruppo di 20 mangiatori seriali e impenitenti di proteine animali. Mi fu servita una gigantesca terrina con tre kg di deliziose fragole. Primo, secondo e terzo a base di fragole.
Sia i due camerieri che i commensali sgranarono gli occhi increduli. La cena durò un paio d’ore ed io andai avanti di sole fragole! Si trattò di un pranzo davvero unico e memorabile. Mai vista una cosa del genere.
RISO BIANCO CON POMODORO FRESCO E DATTERI A RIYADH
Altro esempio un party reale a Riyadh-Saudi Arabia nel 1980, invitato da un cugino del re di allora, che aveva appena acquistato un impianto italiano per produrre calcestruzzo da utilizzare per la sua enorme residenza da nababbo ai margini del deserto.
Il menu era totalmente carnivoro, a base di montone in tutte le salse. Chiesi cortesemente di andare in cucina e notai che qualcosa ci doveva pur essere. Me la cavai alla fine con pomodori, datteri, riso bianco e un delizioso dessert saudita, circondato da una moltitudine di arabi in cafetano, sorridenti, allegri e incuriositi dalle scelte del loro inusuale ospite italiano.
A VOLTE SI VIENE MESSI A DURA PROVA
Passiamo ora all’aspetto più triste del tuo messaggio. Comprendo benissimo il tuo dramma, anche se, come dici, quando capita all’interno della propria famiglia, è diverso da tutti gli altri casi.
Purtroppo, gestire le sorti di una persona che si ama e che si sta spegnendo, senza poter incidere, senza poter applicare le strategie che conosciamo e che manterrebbero aperto un filo di speranza oppure, alla peggio, renderebbero meno sofferti e penosi i momenti finali, deve essere una esperienza a dir poco tremenda.
Dopotutto è la convinzione di poter fare qualcosa di buono che rende il compito assistenziale motivante e meno gravoso. Ma se ci si trova di fronte al rifiuto e alla non collaborazione del diretto interessato, diventa tutto più devastante.
OCCORRE SAPER VIVERE E SAPER MORIRE
Non è poi una questione di ideologia vegana o ideologia carnivora. Ovvio che tutti siamo morituri e impermanenti indipendentemente dalla dieta prescelta.
Tutti uguali di fronte alla morte? Sì e no. La Health Science che pratichiamo e divulghiamo include l’aspetto mentale-etico-spirituale e serve di sicuro a vivere meglio, come tu stessa hai sperimentato in più occasioni.
Serve a vivere meglio ed anche a morire, quando viene il momento di farlo, col minimo di sofferenza e di difficoltà, mentre le cure farmacologiche si trasformano spesso in persecuzione terapeutica, dove si mantiene in vita artificiosamente una persona anche più del dovuto, in presenza di dolori spesso insostenibili.
APPROPRIARSI AL MEGLIO DEL TEMPO CHE CI RESTA IN QUESTA PROVVISORIA SEDE
Vivere meglio significa vivere nel presente, giorno per giorno. Carpe Diem, diceva Orazio. Catturare il giorno, catturare il tempo, catturare anche il solo minuto che ci resta, nel migliore dei modi, per pensare ed esprimere il massimo di noi stessi.
La longevità terrena ha senso solo se non viene mai a mancare la qualità della vita, l’armonia interiore, la connessione col creato e col modo esterno, l’autostima, la progettualità, la serenità, la voglia e la possibilità effettiva di fare qualcosa di buono ogni giorno che passa, sempre in rapporto alle proprie possibilità e condizioni.
Vale anche per le persone anziane e malate, le quali dovrebbero porsi come obiettivo e ambizione personale quella di mettercela tutta per favorire un recupero e un miglioramento delle proprie condizioni, per alleggerire e semplificare il ruolo di chi li assiste. Mi rendo conto che ogni parola e ogni discorso appaiano inadeguati e precari in queste situazioni.
ESISTONO LA TRASFORMAZIONE E L’EVOLUZIONE, NON LA MORTE TOTALE E DEFINITIVA
Basilare a questo proposito il concetto che abbiamo della morte. Se ne abbiamo paura diventa tutto più complicato e deprimente. La morte fisica non va assolutamente vista come scomparsa esistenziale completa e definitiva.
La nostra parte più preziosa è di sicuro quella spirituale. Non è una predica da prete. Siamo molto di più di un corpo destinato al declino e al disfacimento. I morti sono più vivi dei vivi. La morte non è la fine di tutto, ma è solo un passaggio dove siamo in procinto di intraprendere un nuovo viaggio.
Ci è precluso conoscere totalmente il senso della vita e della morte che attende tutti al varco? È evidentemente una questione di stimoli e di motivazioni che rientrano nello schema divino della creazione.
Il fatto è che in questi casi la ribellione e la non accettazione non portano a nulla di positivo. Conviene pertanto sapersi accontentare. Se conoscessimo già tutto in anticipo, che gusto ci sarebbe?
Valdo Vaccaro
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