LETTERA – SOTTOTITOLI DI VV
GRAZIE PER IL GUADAGNO IN SALUTE
Ciao Valdo, avrei una domanda, relativamente alla quale, non trovo la risposta tra le tue tesine. Un ringraziamento per tutto il guadagno che mi hai fatto conseguire in SALUTE e un SALUTONE dalla mia verde e incontaminata (o quasi) Umbria! Mario Barcherini di Castiglione Del Lago.
Il tuo amico Jean Paul Vanoli su questa sua pagina https://mednat.news/germi_teoria.htm ha scritto: “La presenza di germi (batteri e funghi) non costituisce la presenza o la causa di una malattia; i batteri sono gli spazzini ed i terapeuti della Natura … riducono i tessuti morti agli elementi di base.”
BIODEGRADAZIONE POLIETILENE E PLASTICHE MEDIANTE MICROFUNGHI E BATTERI
La biologa Giovanna Cristina Varese dirige un centro di biodegradazione della plastica con microfunghi o batteri.
Mie considerazioni, dimmi se sbaglio: Il polietilene (C2H4)n è un composto innaturale killer tra i più comuni della famiglia delle plastiche, il quale può entrare facilmente nel nostro corpo. I microfunghi o batteri che usa Giovanna, riescono a biodegradare, cioè a separare i 6 elementi di base saldati insieme e quindi pericolosi, del composto killer C2H4, in 6 elementi, 2 di Carbonio e 4 di Idrogeno, liberi l’uno dall’altro C C H H H H e non più pericolosi. I batteri spazzini di cui parla Jean Paul, sono gli stessi microfunghi o batteri che usa Giovanna.
BIODEGRADAZIONE SOLO NEL TERRENO ESTERNO O ANCHE NEL TERRENO INTERNO?
I crauti contengono probiotici che sono uguali ai microfunghi o batteri dei quali parlano Giovanna e Jean Paul e quindi questi probiotici o microfunghi o batteri, entrando nel nostro corpo insieme ai crauti, possono biodegradare il composto killer C2H4, anche all’interno dello stesso nostro corpo e quindi trasformarlo in 6 elementi liberi l’uno dall’altro C C H H H H rendendoli utili ed assimilabili dal nostro organismo. Premesso quanto sopra, la mia domanda è la seguente: la biodegradazione della plastica può avvenire solo al di fuori o anche all’interno del corpo umano?
Mario
Estratto dell’articolo “Funghi che mangiano la plastica, la nuova sfida del biorisanamento ambientale”
Recentemente, l’attenzione rivolta alle problematiche ambientali causate dalle plastiche nell’ambiente, ha portato sempre più ricercatori a focalizzare i propri studi su microorganismi in grado di degradare le plastiche. Molti studi riguardano i batteri, mentre ancora poco studiati sono i funghi che, tuttavia, grazie alla loro modalità di crescita (habitus ifale) e al loro pattern enzimatico, sembrano particolarmente promettenti.
L’Università di Torino (la Mycotheca Universitatis Taurinensis del Dipartimento di Scienze della vita e Biologia dei Sistemi in collaborazione con il Dipartimento di Chimica) ha isolato e identificato 135 funghi diversi tipi di plastiche presenti in discarica. Questi funghi sono stati coltivati in presenza di polietilene (rappresentante delle plastiche tradizionali) e policaprolattone (rappresentante delle plastiche biodegradabili) come unica fonte di carbonio.
“I migliori funghi sono stati saggiati per le loro capacità degradative nei confronti di polvere e film di PE. La conferma di avvenuta degradazione è stata osservata mediante un test respirometrico semi-quantitativo e con analisi qualitative attraverso osservazioni con il microscopio elettronico SEM e spettroscopia ATR-FT-IR. Ben il 97% dei funghi è stato in grado di crescere in modo vigoroso utilizzando il polietilene come fonte di nutrimento.
L’importanza di questi risultati è ancora maggiore se si considera che il PE utilizzato in questo lavoro non presentava additivi, che potevano essere utilizzati dai funghi come fonte alternativa di nutrimento, né era stato precedentemente sottoposto a ossidazioni per facilitarne la biodegradazione, come spesso si osserva in letteratura” spiega Giovanna Cristina Varese, professoressa del Dipartimento di Scienze della Vita e della Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino.
“Da questo screening sono stati selezionati 13 funghi per i successivi test. Le prove respirometriche hanno permesso di selezionare alcuni funghi che hanno mostrato la capacità di mineralizzare velocemente questa plastica dimostrando di aver sviluppato specifiche vie cataboliche in grado di degradare questo polimero, altrimenti molto recalcitrante. Questi ceppi sono stati incubati per 30 giorni su film di polietilene, mostrando di essere in grado di colonizzarli abbondantemente. Le analisi al SEM hanno mostrato significativi cambiamenti della topografia superficiale del polietilene.
Già a basso ingrandimento erano riscontrabili differenti tipologie di danni rispetto al controllo, in cui la superficie risulta liscia ed omogenea. Salendo di ingrandimento e arrivando fino ad un 3000X, i danni risultano ancora più importanti, permettendo anche di notare una differenza nel meccanismo di degradazione tra funghi diversi. Le analisi alla FT-IR hanno confermato i cambiamenti fisici osservati con il SEM evidenziando la comparsa di gruppi funzionali associati all’ossidazione del PE, come i gruppi estere, ben individuati da picchi assolutamente assenti nello spettro del controllo. Inoltre, le analisi chimiche hanno permesso di evidenziare importanti alterazioni chimiche del polimero” continua Varese.
Funghi “mangiaplastica”: che cosa si potrà fare in futuro
In conclusione, questo studio rappresenta uno degli screening più ampi mai condotti sulla degradazione del polietilene da parte di funghi. Anche grazie all’isolamento da una matrice come le plastiche di discarica, i funghi saggiati in questo lavoro hanno mostrato delle spiccate capacità degradative nei confronti del polietilene dimostrate in modo inequivocabile.
“Tra tutti i funghi che abbiamo analizzato, sicuramente due hanno primeggiato rispetto a tutti gli altri, Fusarium oxysporum e Purpureocillium lilacinum, che hanno mostrato i risultati migliori in tutti i test effettuati.
Questi risultati sono, perciò, molto importanti da un punto di vista scientifico, per la conferma della degradazione del PE in un periodo molto breve, ma rappresentano anche un formidabile strumento per il futuro, in quanto lo studio approfondito dei loro meccanismi di attacco nei confronti di questo polimero così recalcitrante permetterà di mettere a punto dei nuovi sistemi per favorire la biodegradazione di questo polimero attraverso l’uso di enzimi specifici e la messa a punto di consorzi microbici in grado di facilitare la degradazione sia delle plastiche tradizionali, sia di quelle biodegradabili” conclude la professoressa Varese.
Un lavoro di “manutenzione” dell’ambiente davvero ammirevole quello che si sta portando avanti nei laboratori dell’Università degli Studi di Torino. Noi di eHabitat vi terremo aggiornati sugli ulteriori sviluppi del progetto.
RISPOSTA
LE RICERCHE DEL DR VANOLI SUI VIRUS SONO CHIARE E COMPLETE
Ciao Mario. Complimenti per le tue domande intelligenti e approfondite. Denoti molta sana curiosità. Diciamo intanto che hai fatto molto bene a inserire lo scritto di Vanoli sui virus, che rappresenta uno degli studi più serio ed approfonditi sull’argomento, quanto di più chiaro e completo si possa leggere. Anche un bambino delle elementari lo capisce.
Non mancano note storiche importanti. Sono tutte cose che condivido ampiamente e che dovrebbero far parte integrale di un corso obbligatorio per tutte le scuole e per tutti i governanti presenti e futuri, affinché non commettano altri disastri e altri danni, e affinché non deleghino i loro provvedimenti a dei pazzoidi-criminali chiamati scienziati, ma privi di scienza, di coscienza e di buonsenso. Tutto quanto dice Vanoli sta anche nelle mie tesine. Siamo da anni in contatto e condividiamo gli stessi principi. Ma questa sua sintesi è davvero efficace.
OTTANTA MILIONI DI TONNELLATE ANNO DI ETILENE: BENVENUTI SIANO I BATTERI E I FUNGHI
Anche le ricerche di Cristina Giovanna Varese sono molto importanti. Degradare le plastiche con metodi biologici è quanto di meglio possiamo fare per rendere il mondo pulito. Il problema è di enorme importanza. Il 40% della produzione totale di materiale plastiche è costituito da etilene, e se ne producono qualcosa come 80 milioni di tonnellate/anno. Si tratta di materiale di alta resistenza all’azione delll’acqua, di agenti chimici, di acidi, di alcol, di soluzioni saline e di benzina. Per fortuna nostra esistono i batteri ed esistono i micro-funghi che ci vengono incontro e che ci aiutano a biodegradare l’etilene, ma niente affatto in tempi brevi.
QUELLA DELLA PLASTICA È UNA BOMBA ECOLOGICA SENZA PRECEDENTI
La produzione della plastica su larga scala risale agli anni ’50 e da allora sono stati prodotti qualcosa come 9 miliardi di tonnellate di materia plastica, una massa inquinante che si è accumulata nelle discariche o si è dispersa nei vari ambienti naturali. In meno di 70 anni la plastica è divenuta una devastante bomba ecologica che attacca in particolare un ambiente marino già ai limiti del collasso per colpa della pesca indiscriminata.
I PRIMI A SOFFRIRNE SONO GLI ANIMALI MARINI
Secondo ricerche condotte in Australia il 90% degli uccelli marini di tutto il mondo portano addosso pesanti tracce di materiale plastico. È previsto che nel 2050 il 99% degli uccelli marini avrà delle plastiche nelle loro viscere. Stesso discorso per i cetacei e le tartarughe. Il danno si estende come autentica peste al plancton, a cozze, ostriche e coralli, infettando l’intera rete trofica marina. In Thailandia è stato rinvenuto in fin di vita un globicefalo e si è scoperto che aveva ingerito ben 80 buste di plastica.
IL CORPO UMANO SELEZIONA, ASSIMILA ED ESPELLE
Quanto alla tua domanda, posso solo fare delle ipotesi e delle supposizioni basate sul buonsenso. In linea generale il corpo umano espelle ogni sostanza estranea che entri nel corpo, e lo fa con l’aiuto prezioso del sistema immunitario. Lo fa nel modo più logico e veloce possibile. Se ingeriamo qualcosa di solido, in genere ce lo ritroviamo nelle feci. Lo sanno bene i trafficanti di droga che ingeriscono i cosiddetti ovuli di droga per recuperarli alla prima evacuazione.
GLOMERULI E TUBULI RENALI NON ACCETTANO I VELENI CORROSIVI
La tendenza a liberarsi da ogni sostanza velenosa nel modo più rapido possibile vale sempre 24 ore su 24, e soprattutto durante il ciclo circadiano notturno, dove il corpo lavora più intensamente del solito. Vale per i veleni di ogni tipo, per le droghe, per i farmaci, per le vitamine sintetiche e non naturali, per i minerali inorganici (cioè non organicati e sminuzzati molecolarmente dalle piante e dalla fotosintesi), per le sostanze giudicate estranee.
TENDENZA DEI GLOMERULI RENALI A RIFIUTARE IL FILTRAGGIO DELLE SOSTANZE CORROSIVE
Il problema sta nel fatto che i sistemi di filtrazione, gli organi emuntori fegato-pancreas-reni-pelle-polmoni, e direi soprattutto i reni, rifiutano di trattare queste sostanze velenose per non subire ostruzioni e corrosioni letali, per cui i veleni finiscono per incrostarsi nell’adipe o vanno nelle sacche di acqua pesante che un corpo inquinato possiede. Questo in attesa di un lento lavoro di disincrostazione o di depurazione che arriva in tempi lunghi o che a volte non arriva mai, dipendendo il tutto dalla forza immunitaria-espulsiva di ciascuno.
BIODEGRADAZIONE SIA ALL’ESTERNO CHE ALL’INTERNO DEL CORPO
Il lavoro depurativo e disgregante di biodegradazione da (C2H4)n in innocui C C H H H H, avviene non certo in ambiente sterile o morto del tutto, ma grazie alla presenza di miliardi di microrganismi e funghi che esistono sia nel terreno esterno, nella terra, e quindi fuori del corpo, e possibilmente esistono pure nel terreno interno, quindi dentro di noi.
I CRAUTI OGNI TANTO POSSONO ANDAR BENE, MA NON CERTO PER LA BIODEGRADAZIONE DELLA PLASTICA
Quando ai crauti è noto il loro aiuto ai processi digestivi, salvo che uno non soffra di allergie o di infiammazioni intestinali pregresse. In base ai diversi tipi e alle diverse lavorazioni possono contenere probiotici di diverso tipo e in diverso numero. Ma si tratta sempre di un alimento occasionale e non certo da assumere in grandi quantità. Pensare di risolvere il problema dell’inquinamento interno da plastica con i crauti, o con altri alimenti simili, non mi pare il caso di pensarlo. Occorre risolvere il problema a monte, evitando di ingerire sostanze a rischio.
Valdo Vaccaro
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